Veduta tratta dal celebre Campi Phlegraei. Observations on the Volcanos of the two Sicilies as They have been communicated to the Royal Society of London. Il diplomatico e archeologo britannico sir William Douglas Hamilton (1730-1803), fu, tra il 1764 e la fine del XVIII secolo, ambasciatore inglese presso la corte di Napoli. Appassionato vulcanologo, tra il 1776 e il 1779 realizzò, insieme al pittore Pietro Fabris, Campi Phlegraei, un’opera monumentale in due volumi, pubblicata per la prima volta a Napoli tra il 1776 ed il 1779 con testo bilingue (inglese e francese) perché destinata ai viaggiatori del Grand Tour. Questo raffinato capolavoro figurativo del XVIII secolo è reso possibile dalla cultura e dal mecenatismo di William Hamilton, e dall'arte raffinata del pittore paesaggista Pietro Fabris, autore delle 59 magnifiche incisioni colorate a tempera. Unanimemente considerato un capolavoro editoriale ed uno dei libri più belli di tutto il Settecento, Campi Phlegraei di Hamilton sono una pietra miliare sia nel campo dell'arte dell'illustrazione, sia nell'ambito della ricerca geofisica e vulcanologica. Il nome “Campi Flegrei”, ovvero “terre bruciate dal fuoco”, indica la vasta zona che comprende Napoli e i suoi dintorni, caratterizzata sin dall'antichità da vivace attività vulcanica. Difatti, il Vesuvio, le sue spettacolari eruzioni e i luoghi che lo circondano sono i protagonisti indiscussi di questa opera. Tuttavia, l'attenta ricerca vulcanologica condotta da Hamilton coinvolse anche altri vulcani del sud Italia, in particolare quelli delle Eolie e l'Etna, cui egli volle dedicare tavole e commenti. Del modernissimo approccio di Hamilton all'indagine scientifica, che rese l'opera un testo rivoluzionario nell'ambito della vulcanologia, ci parla lui stesso nella lettera introduttiva dei Campi Phlegraei, indirizzata a Sir John Pringle, presidente della Royal Society di Londra, di cui Sir William era membro dal 1766. A differenza dei naturalisti del passato, le cui teorie erano state per lo più elaborate a tavolino, secondo Hamilton, apostolo della mentalità illuminista, la natura deve essere studiata con accurate e approfondite osservazioni dal vivo, che vanno poi raccontate nel modo più fedele e comprensibile. Quindi, il testo dei Campi Phlegraei, costituito dalla serie di lettere inviate da Hamilton alla Royal Society tra il 10 giugno 1766 e il primo ottobre 1779, è sostanzialmente una cronaca dettagliatissima delle sue numerose ascensioni al Vesuvio ed escursioni alle zone limitrofe, attraverso la quale egli registrò ogni fenomeno vulcanico degno di rilievo e pervenne all'innovativa e fondamentale conclusione che l'attività dei vulcani ha un impatto determinante sulla superfice terrestre e sul modellamento del paesaggio. Nella medesima lettera a Pringle, Hamilton descrive anche la genesi delle spettacolari tavole che adornano l'opera e la storia editoriale del libro. Fedele alla sua moderna metodologia scientifica, egli desiderava che la sua relazione fosse accompagnata da immagini che riproducessero in modo preciso e particolareggiato quanto da lui osservato. Commissionò il lavoro a Pietro Fabris, da lui definito “a most ingenious and able artist”, e gli chiese di disegnare ogni località vulcanica visitata, oltre a campioni di rocce vulcaniche e a particolari eruzioni, come quelle del Vesuvio avvenute a cavallo tra il 1760 e il 1761, nella notte del 20 ottobre 1767 e dell'11 maggio 1771, e nell'agosto 1779, che è oggetto dell'intero Supplement ai Campi Phlegraei. Hamilton supervisionò direttamente l'opera di Fabris, che lo accompagnava nelle sue escursioni. Infatti, i due uomini sono ritratti in molte tavole, il primo con un cappotto rosso, il secondo blu. Pienamente soddisfatto del lavoro dell'artista, eseguito con “the uttermost fidelity” e “as much taste as exactness”, Hamilton decise che quanto aveva inizialmente richiesto per sua personale soddisfazione fosse invece pubbl. Plate taken from Campi Phlegraei. Observations on the Volcanos of the two Sicilies as They have been communicated to the Royal Society of London. Naples: sold by Pietro Fabris, 1776-1779. Although Hamilton’s Observations on Mount Vesuvius (published by the Royal Society in 1772) was well-received at the time and ran to three editions, the Campi Phlegraei is the best known of Hamilton's four works on volcanic activity, and provided a clearer, more precise and useful explanation of volcanic activity than ever published before, which underlined Hamilton’s own theories about volcanoes being creative forces and enabled him to answer in one publication the lists of questions about volcanoes and rocks he had been receiving from correspondents all over Europe. “Its publication in French and English provided it with a market not only in his own country but throughout Europe as well, and an international audience for a British discovery” (Jenkin and Sloan). Pietro Fabris (fl.1756-1784), an artist living in Naples, was commissioned and trained by Hamilton to sketch the volcanoes of southern Italy. In four years Hamilton climbed Vesuvius at least twenty-two times, sometimes at great risk, since both he and Fabris wished to make sketches at every stage of the eruptions (the figures of Hamilton, often wearing a red coat, and Fabris, in blue, appear in the plates). The plates are so opaquely colored that the engraved base beneath is hardly visible: indeed, Hamilton himself describes them as “executed with such delicacy and perfection, as scarcely to be distinguished from the original drawings themselves” (Part I, p. 6). Hamilton then asked Fabris to undertake the publication of his letters to the Royal Society, to be illustrated by engravings after the original drawings. Fabris was the sole distributor of the work, which was originally published at 60 Neapolitan ducats for Part I and Part II; the price of the Supplement is not recorded. Copperplate with fine original colour, mint condition. Cfr. Brunet III, 31 ("Ouvrage curieux et bien exicut"); ESTC T71231 (parts I-II); I. Jenkins and K. Sloan Vases and Volcanoes (London: 1996), "Catalogue" 43; Lewine p.232; Lowndes II, p.989.