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Libri antichi e moderni

Spatola, Adriano

Zeroglifico [SECONDA EDIZIONE]

Geiger,, 1975

500,00 €

Pontremoli srl Libreria Antiquaria

(MILANO, Italia)

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Dettagli

Anno di pubblicazione
1975
Luogo di stampa
Torino,
Autore
Spatola, Adriano
Pagine
pp. 18 [30].
Collana
collana «Geiger/p», 20,
Editori
Geiger,
Formato
in 16°,
Edizione
Seconda edizione.
Soggetto
Poesia Italiana del '900 Poesia visiva
Descrizione
brossura bianca con titoli neri al piatto e al dorso,
Prima edizione
No

Descrizione

LIBRO Seconda edizione. Brossura leggermente fiorita per il resto ottimo esemplare. Seconda edizione dell’opera di poesia visiva e concreta di Adriano Spatola «Zeroglifico», qui introdotta dalle parole della poetessa (e a lungo compagna di Spatola) Giulia Niccolai: «A quasi dieci anni di distanza dalla prima edizione mi sembra importante constatare che questa serie iniziale di zeroglifici di Adriano Spatola (“serie iniziale” perché il poeta usa la stessa definizione per molti dei poemi concreti che da allora ha fatto e continua a fare) non è “invecchiata”, non ha acquisito quella patina imbarazzante o patetica, quell’“ispido” che presentano a volte i lavori preliminari o preparatori di operazioni successive di un artista. L’equilibrio ottico-semantico di questi zeroglifici rimane invece invariato grazie al rigore, alla razionalità “fredda”, alla tecnica di collage “non sentimentale” con cui sono stati eseguiti. Zeroglifico nasce naturalmente dalla parola “geroglifico” – con la sostituzione di zero a gero: e sappiamo che geroglifico deriva dal latino tardo hieroglyphicum, dal greco hieroglyphicos ossia pertinente alle sacre (da hieros) incisioni (dal verbo glyphein, incidere, scolpire) – e vuol significare l’annullamento del messaggio semantico, fermo restando il messaggio iconico. Come ha scritto Luigi Ballerini: “A.S. tende a smembrare elementi grammaticali e lessicali (…) I suoi ‘morceaux de language’ sono tessere (…) di un giuoco di pazienza composto dal caso: le sagome a stampa appartengono a parole che si sono troppo avvicinate ai nostri occhi”».
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