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Libri antichi e moderni

Sanguineti, Edoardo

Laborintus. Laszlo Varga: XXVII poesie, 1951 - 1954

Editrice Magenta (Tipografia Artigiana),, 1956

750,00 €

Pontremoli srl Libreria Antiquaria

(MILANO, Italia)

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Dettagli

Anno di pubblicazione
1956
Luogo di stampa
Varese,
Autore
Sanguineti, Edoardo
Pagine
pp. 49 [3].
Collana
collana «Oggetto e simbolo» diretta da Luciano Anceschi, 6,
Editori
Editrice Magenta (Tipografia Artigiana),
Formato
in 16°,
Edizione
Edizione originale.
Soggetto
Poesia Italiana del '900
Descrizione
brossura bianca con risvolti, stampata in rosso e nero, con raffinata grafica minimale e razionalista,
Prima edizione

Descrizione

LIBRO Edizione originale. Più che buon esemplare (mancanze al dorso del pergamino, leggera bruniture e fioriture alle carte). Firma di possesso «Luciano Perez 1957» al frontespizio. Aggiunte a matita le date di composizione delle singole sezioni dell’opera. Opera prima di Edoardo Sanguineti, parte di un progetto che si dispiegherà completamente con i successivi «Opus metricum» (1960) e «Triperuno» (1964). La silloge – che prende il titolo dall’opera di arte poetica medievale di Everardo Alemanno – con il suo lavoro sul linguaggio e i suoi codici e con il suo andamento caotico, fu accolta da Pasolini – che aveva in verità, almeno inizialmente, recensito con toni meno critici il lavoro di Sanguineti – come un “furentissimo pastiche” in cui confluivano temi tanto post-ermetici quanto pre-ermetici. Un esempio, per il Pasolini sostenitore di una propria personale via alla sperimentazione, di “neo-sperimentalismo” carico di rimandi ma povero, in definitiva, di prospettiva. Ma ancor più netto fu il giudizio di Andrea Zanzotto che – secondo quanto riportato in una nota anonima pubblicata su «Officina» nel novembre 1957 – definì «Laborintus» “la trascrizione di un esaurimento nervoso”. Nel saggio «Poesia informale?» - pubblicato nel numero 3 del 1961 di «Il Verri» - Sanguineti chiarì in questo modo le ragioni dietro l’opera: «Si trattava per me di superare il formalismo e l’irrazionalismo dell’avanguardia (e infine la stessa avanguardia, nelle sue implicazioni ideologiche), non per mezzo di una rimozione, ma a partire dal formalismo e dall’irrazionalismo stesso, esasperandone le contraddizioni sino a un limite praticamente insuperabile, rovesciandone il senso, agendo sopra gli stessi postulati di tipo anarchico, ma portandoli a un grado di coscienza eversiva. Il Laborintus era insomma la descrizione di uno straniamento sofferto con la coscienza dello straniamento e, anzi di uno straniamento inoculato volutamente, se possibile, in dose particolarmente massiccia, a scopo analitico-sperimentale: patetico e patologico erano termini che agivano in stretta congiunzione tra loro e con una coscienza che, a non dire altro, conosceva, del patetico e del patologico, la congiunzione etimologica. E parlo di etimo storico, e non di semplice etimo filologico: parlo nel senso radicale (strutturale) del materialismo storico». Cfr. «Una polemica in prosa», in «Officina», 11, novembre 1957; E. Sanguineti, «Poesia informale?», in «Il Verri» 3, 1961.