In-16° (19,7 x 14 cm), pp. (16), 150, (2), legatura coeva in pergamena semirigida con titoli manoscritti al dorso (un po' sbiaditi). Normali segni d'uso (piccole mancanze) agli angoli esterni del piatto anteriore. Testo disposto su due colonne per pagina, che ospitano una l'originale spagnolo, l'altra la traduzione italiana. Nel bordo inferiore del frontespizio, sigla di appartenenza "R. M." datata 1653. Piccolo, leggero alone d'umido, che non interessa il testo, nella parte inferiore del margine esterno dei fogli ospitanti le prime 16 pagine non numerate, delle dimensioni massime di 4 cm di altezza per 1,1 cm di larghezza, più evidente nei primi fogli interessati, più contenuto e meno marcato nei restanti (si veda foto del frontespizio). Alcuni fascicoli presentano arrossature alle pagine, dovute al tipo di carta. Nel margine esterno del foglio con le pagine 149-150, mancanza, che non riguarda il testo, ben reintegrata con carta giapponese. Nel margine inferiore delle pagine dalla 47 all'ultima, all'altezza dell'angolo inferiore interno, piccolo lavoro di tarlo, che non riguarda il testo: da pagina 65 in poi, dove, pur essendo sempre contenuto, si mostrava più evidente rispetto alle pagine precedenti (in particolare tra pagina 65 e pagina 90), è stato sistemato da intervento di restauro eseguito reintegrando le parti erose con carta giapponese. Piccolo foro di tarlo nell'angolo superiore interno delle pagine dell'ultimo fascicolo, lontano dal testo, anche in questo caso restaurato. Alcune "maniculae" disegnate a penna nel margine di qualche pagina, un paio di brevissime notazioni a penna ad integrazione del testo, sia le prime, che le seconde, di mano coeva. Nella parte superiore della controguardia posteriore, nota a penna, di mano coeva, su cinque righe, di argomento storico. Le ultime due pagine ospitano un elenco di titoli impressi dall'editore Ginammi. Si tratta della seconda edizione italiana, dopo la prima del 1626, stampata sempre a Venezia dal medesimo editore, della celebre opera del domenicano spagnolo sulle condizioni di vita degli indigeni nelle terre del Nuovo Mondo governate dagli spagnoli e sulle atrocità commesse da questi ultimi sulle popolazioni locali. La princeps dello scritto era stata pubblicata a Siviglia nel 1552. Bartolomé de Las Casas nacque a Siviglia nel 1484. Recatosi per la prima volta in America, sull'isola di Hispaniola (Santo Domingo), nel 1502, al seguito del governatore Nicolás de Ovando, a partire dal 1505, gli fu assegnato in encomienda un certo numero di indios che lavoravano per lui nelle miniere e nelle terre, facendo prosperare i suoi affari. Ordinato sacerdote nel 1510, visse nelle isole di Hispaniola e di Cuba come clérigo e encomendero fino al 1513-14, data della sua prima conversione alla causa indigena, quando, suscitando grande stupore nei connazionali, rinunciò alle sue proprietà e liberò gli indigeni per dedicarsi alla difesa dei loro diritti. Inizialmente il suo impegno, che lo porterà, nel corso degli anni, a tornare più volte in Spagna e a percorrere migliaia di leghe nel Nuovo Mondo, fu volto al tentativo di riformare la legislazione riguardante le Indie e alla messa in atto di esperimenti di un tipo di colonizzazione alternativa non violenta, intendimenti e prove che non ebbero però grande successo. Frustrato da queste esperienze, nel 1522 decise di entrare nell'Ordine domenicano (la cosiddetta seconda conversione), ritirandosi nel convento dell'isola di Hispaniola per un periodo di riflessione che durò una decina d'anni, periodo durante il quale iniziò a scrivere alcune delle sue opere principali, in cui offriva una puntuale descrizione delle qualità fisiche, morali e intellettuali degli indios, finalizzata alla difesa dell'umanità degli abitanti del Nuovo Mondo, contro la tesi della loro irrazionalità e bestialità avanzata da altri suoi contemporanei, e in cui riportava dettagliati resoconti delle vessazioni e delle atrocità compiute dai colonizzatori. Tornò quindi ai suoi viaggi attraverso l'America centrale e alle traversate oceaniche, compiute per svolgere opera di persuasione presso la Corte e il Consiglio delle Indie, opera che sortì, almeno in parte, gli effetti da lui sperati, in quanto le sue testimonianze e le sue posizioni esercitarono una notevole influenza nella promulgazione delle Leyes Nuevas del 1542, che limitavano fortemente l'encomienda coloniale. Nel 1543 fu nominato dall'Imperatore Carlo V vescovo della diocesi del Chiapas, nella penisola dello Yucatan, dove si recò nel 1546. Tuttavia, l'ostilità dei suoi connazionali, ai quali negava l'assoluzione finché non avessero liberato gli indios a loro assoggettati, lo obbligò a ritirarsi dalla diocesi e a ritornare definitivamente in Spagna nel 1547. Nel 1550, partecipò alla famosa Giunta di Valladolid, consiglio di giuristi e teologi convocato da Carlo V con lo scopo di discutere la natura giuridica e spirituale delle popolazioni native dell'America centrale e meridionale, sottomesse al potere spagnolo. In essa, le sue teorie, che affermavano la naturale bontà degli indios e si esprimevano a favore della loro pacifica conversione, si contrapposero a quelle di Juan Ginés de Sepúlveda, rappresentante del pensiero colonialista, che sostenevano che gli indigeni fossero servi per natura, che la guerra mossa contro di loro fosse conveniente e giusta a causa della gravità morale dei delitti di idolatria, dei peccati contro natura e dei sacrifici umani da loro commessi e che, infine, l'assoggettamento avrebbe favorito la loro conversione alla fede. Visto che, dalla disputa, non uscì nessun vincitore, questa venne nuovamente convocata l'anno seguente, ma la commissione di esperti non prese alcuna decisione ed entrambi i contendenti si considerarono vincitori. È da sottolineare, però, che l'imperatore era propenso ad accettare le sue tesi, soprattutto per limitare il potere degli encomenderos. Tra il 1552 e il 1553, a Siviglia, presso i tipografi Sebastian Trugillo e Jacome Cromberger, diede alle stampe otto dei suoi trattati. Negli ultimi anni della sua vita si oppose alla richiesta da parte dei conquistadores di ottenere dal re Filippo II la perpetuità dell'encomienda. In seguito alla proibizione del re di trattare pubblicamente le questioni relative alle Indie, dal 1556 non diede più alle stampe i suoi numerosi manoscritti. Morì a Madrid nel 1566. Titolo completo: Istoria o brevissima relatione della distruttione dell'Indie Occidentali di monsig. reverendiss. don Bartolomeo dalle Case, o Casaus, Sivigliano dell'Ordine de' Predicatori; et vescovo di Chiapa città regale nell'Indie. Conforme al suo vero originale spagnuolo, gia stampato in Siviglia. Tradotta in italiano dall'eccell. sig. Giacomo Castellani già sotto nome di Francesco Bersabita. Dedicata all'Amicitia.