In 4° piccolo (20x13,8 cm); due opere in un volume, in tre tomi: (8), 100 pp., (2), 285, (1) pp.; (2 b.), (2), 248 pp. Legatura coeva in piena pergamena rigida con titolo della prima opera impresso in oro al dorso. Piatti interni foderati con bella carta coeva marmorizzata. Tagli spruzzati. Antiche firme di appartenenza al frontespizio della seconda opera, cancellate a china in epoca storica e ancora in parte leggibili Ex libris Josephi
. Firma alla fine del volume, forse autografa dellautore, Alessandro Riccardi. Marca tipografica di Martello al frontespizio della seconda opera. Allinizio del secondo volume sono presenti due frontespizi. Il secondo frontespizio, senza la marca tipografica, non presenta la marca editoriale e nemmeno la dichiarazione di Volume primo . cosa che suggerisce che probabilmente, presa consapevolezza che non sarebbero usciti gli altri cinque libri, leditore e lautore, stavano pensando di far uscire il libro con un nuovo frontespizio. Al recto dei due frontespizi è presente la stessa scritta. Insieme di due rarissime prime edizioni di notevole importanza per il moderno diritto e per il territorio napoletano, composte da due dei più eminenti giureconsulti italiani dellepoca. Le due opere vennero censurate e ne venne richiesto che venissero rintracciate e date alle fiamme, in tutti i territori controllati dalla Chiesa Cattolica e in quelli napoletani, durante loccupazione della città partenopea da parte dellesercito austriaco, guidato da colui che deteneva, in quel momento, in accordo con il papato, la carica di Vicerè, Wirich Philipp Lorenz von und zu Daun, principe di Teano. Dedica a Gaetano Argenti Consigliere del re nel Supremo Consiglio di Santa Chiara. La prima opera fu date alle stampe dal celebre filosofo, giurista, politico e noto anticurialista italiano, Costantino Grimaldi (Cava de' Tirreni, 30 gennaio 1667 Napoli, 16 ottobre 1750) che seguace di Cartesio, fece parte della famosa Accademia degli Investiganti che annoverava fra i suoi solidali, Giuseppe Valletta e Francesco D'Andrea. Insigne studioso di diritto, non trascurò mai le buone lettere. Autore di diversi scritti, sono da ricordare: Lettere apologetiche in difesa della teologia scolastica e della filosofia peripatetica uscita nel 1694 e che diede vita ad un ampio ed aspro dibattito pubblico con il gesuita Aleatino che a sua volta, attaccava le posizioni di forte critica ai principi aristotelici ed alla filosofia scolastica di Grimaldi e che vide, anche, lintervento del Santo Uffizio; le Considerazioni intorno alle rendite ecclesiastiche del Regno di Napoli (Napoli 1708), appunto qui presentate; le Discussioni istoriche teologiche e filosofiche (Lucca 1725); infine il curioso trattato Dissertazione sulle tre magie, naturale, artificiale e diabolica (Roma 1751, uscito postumo per cura del di lui figlio). Nel 1708, Grimaldi é chiamato, direttamente dalla corte di Barcellona, su consiglio di Nicolò Caravita, a difendere gli editti regi in materia di benefici ecclesiastici nel Regno di Napoli contro la Curia romana. Dalla Treccani si legge: La pretesa del re Carlo d'Asburgo, espressa negli editti, di conferire benefici ecclesiastici solo a regnicoli, contro la pretesa della Curia romana, venne dunque sostenuta dal G. nelle Considerazioni teologico-politiche fatte a pro degli editti di s. maestà cattolica intorno alle rendite ecclesiastiche del Regno di Napoli (I-II, Napoli 1708-09), che furono recensite nel IV supplemento degli Acta eruditorum del 1711 (pp. 369 s.). La risposta di Roma non si fece attendere: il 17 febbr. 1710 la Curia emanò una bolla che colpiva, con le opere di Alessandro Riccardi e Gaetano Argento, la prima parte del Trattato delle considerazioni teologico-politiche, mentre la seconda parte veniva raggiunta dalla censura neppure un mese dopo, il 24 marzo. Il G., che nel 1709 era stato nominato consigliere straordinario del tribunale di S. Chiara (diverrà ordinario il 28 febbraio dell'anno successivo), preparò contro il testo della censura (la cui stesura si doveva al benedettino Nicolò Maria Tedeschi) un Avviso critico et apologetico intorno alla bolla, et alla censura fatta a' libri intitulati Considerazioni teologico-politche, che circolò manoscritto negli ambienti anticuriali napoletani. La seconda opera è invece un importante scritto critico del noto giurista Alessandro Riccardi (Fondi in provincia di Latina, 1678 - ). Personaggio dal carattere forte ed impulsivo, una volta prese a schiaffi in pubblico un sacerdote che aveva preso dalla sorella Veronica la parola di unirsi in matrimonio con un giovane, senza il consenso suo e del nonno, fu unimportante giurista nella Napoli dellinizio del XVIII° secolo. Ancora giovane si impegnò apertamente con, allindomani della venuta degli austriaci (1707), la redazione di un memoriale che conteneva un nutrito programma di riforme. In esso si sosteneva la necessità di superare i molteplici ostacoli che impedivano lo sviluppo del Mezzogiorno, anzitutto lingente estrazione di risorse che avveniva costantemente a vantaggio della Corte romana. Era il preannuncio del successivo impegno di Riccardi in occasione della controversia beneficiaria. Ma il giurista aggiungeva che le migliaia di giovani che affollavano i tribunali, svolgendo unattività del tutto improduttiva, avrebbero potuto più utilmente dedicarsi ai traffici commerciali (Treccani). Con lopera qui presentata, Riccardi si schierò apertamente a favore delleditto che nel 1708 disponeva il sequestro delle rendite dei benefici ecclesiastici posseduti dai forestieri, la Corte dava infatti prova di un forte decisionismo in una materia cruciale, emblematica dellintreccio esistente fra economia e giurisdizione (Treccani). In appoggio delle Ragioni del Regno di Napoli nella causa de suoi benefici ecclesiastici uscite nello stesso 1708, furono edite altre due opere di importanti personaggi, fautori di una politica giuridica moderna, Gaetano Argento con il suo scritto De re beneficiaria e Costantino Grimaldi con le sue Considerazioni teologico-politiche. Il testo riccardiano si caratterizzava per luso di un linguaggio colorito e aspro. Il giurista non esitava a parlare di preti degni «più di zappa che di stola» (p. 11). Quanto alla pretesa dipendenza feudale del Regno di Napoli dalla Sede apostolica, era tesi di cui non si sarebbe riuscito a convincere nemmeno un «Cinese» o un «Timimambuso» (p. 23). Ma linvettiva non era disgiunta dalladozione di solide argomentazioni giuridiche. Essendo in contrasto con il diritto divino e naturale, la consuetudine di attribuire i benefici agli stranieri notava Riccardi non poteva dar vita a una valida prescrizione (ibid.). La controreplica di Riccardi fu affidata alle Considerazioni sopra al nuovo libro intitolato Regni Neapolitani erga Petri cathedram religio adversus calumnias Anonymi vindicata (Cologna 1709). In questultimo testo si avvertivano i segni di un giurisdizionalismo di tipo nuovo, per tanti versi anticipatore di quello giannoniano. Riccardi, per esempio, prendeva le distanze dal cesaropapismo degli imperatori bizantini, a cui pure tradizionalmente gli anticurialisti guardavano come a un modello. Criticava, nel contempo, Ugo Grozio che, nel De imperio, aveva attribuito ai principi un dominio assoluto nelle materie religiose, e Roberto Bellarmino che, con i suoi schemi teorici, aveva finito per svilire oltre misura i poteri laici (pp. 111-115). Dallo scritto di Riccardi usciva inoltre fortemente ridimensionato il topos del principe protettore dei canoni. Il giurista notava infatti che le persone e i beni sacri, per la loro peculiare natura, non cessavano di essere soggetti alla giurisdizione del sovrano (p. 120). Né le esenzioni di cui godevano facevano venir meno il potere dei principi, i soli cui competesse concedere quei privilegi (p. 124). Al sovrano spettava decidere la destinazione non solo dei beni dei laici, ma anche di quelli sacri, al fine di assicurare il benessere dello Stato (pp. 125 s.). Perciò, nel vietare di attribuire i benefici agli stranieri, i principi assolvevano il compito di promuovere la ricchezza e la felicità terrena dei sudditi (pp. 11 s.). Notevole anche la polemica contro il tentativo di considerare materie di fede questioni che riguardavano la realtà naturale o il fondamento e i limiti del potere dei pontefici. (Treccani). Due rarissime prime edizioni di notevole importanza per la storia del diritto moderno. Rif. Bibl.: per la prima opera Fera-Morlicchio N° 1853; Melzi I, 246. Per la seconda opera: ICCU IT\ICCU\SBLE\015750.