Dettagli
Anno di pubblicazione
1560
Luogo di stampa
Venezia (In Venegia)
Editori
appresso Gabriel Giolito de' Ferrari
Descrizione
In-8. 83 c., bella legatura settecentesca in tutta pergamena muta con falde appena accennate, segnacolo di seta verde. Carattere corsivo, poco romano. Capilettera istoriati, qualche testatina e finalino, marca tipografica al frontespizio e prima parola del titolo entro cornice. Antica nota di possesso manoscritta ai lati della marca, bello stemma nobiliare inciso in rame e firmato, applicato al recto della carta di guardia disopra (scudo ovale a due campi con due stelle nella metà superiore e strisce leggermente oblique in quella inferiore, adagiato su una croce di Malta e lance incrociate con stendardi e bandiere; sormontato da corona e sorretto da schiavi con capigliatura a codino, nudi e dalle braccia similmente legate dietro la schiena - indigeni americani? - e scorcio su galeoni in mare). Recto della carta 82 bianco, ovvero difetto originale riscontrato in tutte le altre copie di questa edizione, con antica nota manoscritta coperta da pecetta. Leggerissime arrossature occasionali. Un'ottima copia. Quinta edizione cinquecentesca di questa popolarissima opera del letterato ed umanista Lodovico Dolce (1545, 1547, 1553, 1559 e 1560; tutte stampate da Gabriel Giolito de Ferrari). Secondo il Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani: "Cogliendo una tendenza del pubblico e una moda letteraria, il D. compose numerosi dialoghi, di cui alcuni sono appunto 'di maniera' aretinesca, come quello che discorre 'di che qualità si dee tor moglie', datato 1539 ed edito insieme alle 'Parafrasi nella sesta satira' di Giovenale, 'nella quale si ragiona delle miserie degli uomini maritati', Venezia, per Curzio Navò, 1538, scandito in una cornice decameroniana sugli esempi volgari di Boccaccio, Ariosto, A. Molino detto il Burchiella, più accessibili del latino Giovenale alle donne che 'non hanno studiato'. L'Aretino stesso interviene come teste 'In difesa dei male avventurati mariti' nel dialogo del 1542, edito, sempre da Curzio Navò, contro la volontà del D., che in una lettera a madonna Leonora Silvia giudicava sconveniente lo scritto. Più cauto è il 'Dialogo della institution delle donne', pubblicato da Giolito nel 1545, poi ampliato nel 1547 e nel '53: il sapido controtrattato di comportamento delineato dall'Aretino nelle 'Sei giornate' viene qui rovesciato dall'intento edificatorio in una scialba elencazione di luoghi comuni circa i 'buoni costumi', appesantita da esempi e avvertimenti di controriformistico buon senso." Questo severo giudizio non deve pesare sull'estrema importanza dell'opera, che rivela moltissimo sullo spirito riformatore cattolico e riflette la temperie etico-religiosa che precedette la fase del concilio tridentino in cui si regolamentò l'istituto del matrimonio. Lucia Manna nel suo saggio "Ludovico Dolce - Dialogo della institution delle donne" mette in evidenza che "nel suo Dialogo il Dolce presenta una concezione estremamente positiva del matrimonio, fondata su una libera scelta da parte dei coniugi, in linea con i temi dibattuti nel corso del concilio di Trento. Il matrimonio è considerato un valido rimedio concesso da Dio contro la sfrenatezza e la libidine: 'questa salutifera medicina, che c'è data da Dio per antidoto pretiosissimo contra le piaghe della lusuria'."
EDIT16 CNCE 17358.