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Gravures

STAGNON Giacomo

Plan de la Forêt Impériale de Stupinis, et des ses Environs

1752

900,00 €

Antiquarius Libreria

(Roma, Italie)

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Détails

Année
1752
Lieu d'édition
Torino
Format
442 X 536
Graveurs
STAGNON Giacomo
Description
cfr. Ada Peyrot, Torino nei secoli, tomo I, n° 212.

Description

Carta geografica raffigurante l’area dove è situata la Palazzina di Caccia di Stupinigi, capolavoro dell’architetto Filippo Juvara, ordinata nel 1729 da re Vittorio Amedeo II, e ultimata nel 1733.Incisione originale eseguita su rame (mm 442 x 536 l’impressione più margini). Impressa a Torino nel 1780 circa da Giacomo Stagnon, su disegno di Michele Angelo Audo. Carta geografica di riconosciuta rarità raffigurante il Parco di Stupinigi e i dintorni fino al limite sud dell'antica città, inserita entro cornice avvolta da nastro. Lungo tutto il lato superiore titolo in francese su nastro. In basso a sinistra decorativo cartiglio con attributi venatori. Seconda tiratura. È stato utilizzato lo stesso rame della prima edizione del 1752 aggiungendo qualche piccola variante, come il titolo, in origine in italiano, ora mutato in francese.Giacomo Stagnon, disegnatore e incisore nato a Mondelli in Valle Anzasca, fu attivo nella seconda metà del Settecento. Scrive Marziano Bernardi in “La Palazzina di Cacci di Stupinigi” (1958): Dalle stampe dello Sclopis, del 1783, e se si vuole, per il contorno pittoresco dell’ambiente venatorio, dalle tele del Cignaroli, noi possiamo rappresentarci la stupenda villa regale, non più soltanto ricco padiglione di caccia per correre il cervo, nel suo pieno fulgore sotto Vittorio Amedeo III; quando da dieci anni vi si eran svolte le splendide feste per le nozze della principessa Maria Teresa e del conte d’Artois, futuro re di Francia, e le sere del 17 e 20 ottobre 1773 tutta la Palazzina s’era accesa di fuochi, uno spettacolo che l’architetto Mario Quarini aveva fissato nei suoi disegni conservati nella Biblioteca Reale di Torino; e quando da due vi si era celebrato sfarzosamente il matrimonio di un’altra figlia di Vittorio Amedeo III, la principessa Maria Carola Antonia col principe Antonio Clemente di Sassonia. Una villa immensa, i cui edifici avevano ormai l’estensione degli attuali, biancheggiava nel verde dei folti boschi circostanti fra il torrente Sangone, Orbas- sano, Candiolo e None (li si vede segnati nel “Plan de la forêt royale de Stupinis et de ses environs” inciso in quel tempo dallo Stagnon), al fondo del lunghissimo diritto viale — «quattro miglia» diceva allora la «Guida di Torino» del Derossi — che, ombreggiato d’olmi, partiva dalla Porta Nuova di Torino. Intorno a questa villa inizialmente pensata — nel rapporto fra città e campagna, fra la rigida etichetta della Corte torinese e la fugace libertà dell’esercizio venatorio — come un invito, significato dalle candide ali del cortile aperte verso la capitale, a brevi riposi del sovrano dalle cure dello Stato, e nel suo modulo geniale in perfetta rispondenza con quel pensiero forse unica in Italia, per circa mezzo secolo s’era lavorato ad ampliare e migliorare, con varia fortuna.Incisione su rame, con margini, in perfetto stato di conservazione. Opera molto rara. Carta geografica raffigurante l’area dove è situata la Palazzina di Caccia di Stupinigi, capolavoro dell’architetto Filippo Juvara, ordinata nel 1729 da re Vittorio Amedeo II, e ultimata nel 1733.Incisione originale eseguita su rame (mm 442 x 536 l’impressione più margini). Impressa a Torino nel 1780 circa da Giacomo Stagnon, su disegno di Michele Angelo Audo. Carta geografica di riconosciuta rarità raffigurante il Parco di Stupinigi e i dintorni fino al limite sud dell'antica città, inserita entro cornice avvolta da nastro. Lungo tutto il lato superiore titolo in francese su nastro. In basso a sinistra decorativo cartiglio con attributi venatori. Seconda tiratura. È stato utilizzato lo stesso rame della prima edizione del 1752 aggiungendo qualche piccola variante, come il titolo, in origine in italiano, ora mutato in francese.Giacomo Stagnon, disegnatore e incisore nato a Mondelli in Valle Anzasca, fu attivo nella seconda metà del Settecento. Scrive Marziano Bernardi in “La Palazzina di Cacci di Stupinigi” (1958): Dalle stampe dello Sclopis, del 1783, e se si vuole, per il contorno pittoresco dell’ambiente venatorio, dalle tele del Cignaroli, noi possiamo rappresentarci la stupenda villa regale, non più soltanto ricco padiglione di caccia per correre il cervo, nel suo pieno fulgore sotto Vittorio Amedeo III; quando da dieci anni vi si eran svolte le splendide feste per le nozze della principessa Maria Teresa e del conte d’Artois, futuro re di Francia, e le sere del 17 e 20 ottobre 1773 tutta la Palazzina s’era accesa di fuochi, uno spettacolo che l’architetto Mario Quarini aveva fissato nei suoi disegni conservati nella Biblioteca Reale di Torino; e quando da due vi si era celebrato sfarzosamente il matrimonio di un’altra figlia di Vittorio Amedeo III, la principessa Maria Carola Antonia col principe Antonio Clemente di Sassonia. Una villa immensa, i cui edifici avevano ormai l’estensione degli attuali, biancheggiava nel verde dei folti boschi circostanti fra il torrente Sangone, Orbas- sano, Candiolo e None (li si vede segnati nel “Plan de la forêt royale de Stupinis et de ses environs” inciso in quel tempo dallo Stagnon), al fondo del lunghissimo diritto viale — «quattro miglia» diceva allora la «Guida di Torino» del Derossi — che, ombreggiato d’olmi, partiva dalla Porta Nuova di Torino. Intorno a questa villa inizialmente pensata — nel rapporto fra città e campagna, fra la rigida etichetta della Corte torinese e la fugace libertà dell’esercizio venatorio — come un invito, significato dalle candide ali del cortile aperte verso la capitale, a brevi riposi del sovrano dalle cure dello Stato, e nel suo modulo geniale in perfetta rispondenza con quel pensiero forse unica in Italia, per circa mezzo secolo s’era lavorato ad ampliare e migliorare, con varia fortuna.Incisione su rame, con margini, in perfetto stato di conservazione. Opera molto rara. Cfr. cfr. Ada Peyrot, Torino nei secoli, tomo I, n° 212.
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