In 4° (25x16 cm); 464 pp. e 760 pp. Legatura coeva in mezza-pergamena con tiolo e numero di volumi su fascetta al dorso (leggero difetto al margine alto di una delle cerniere). Piatti foderati con carta marmorizzata coeva. L'opera ripercorre la le vicende della vita ed il processo del celebre patriota e carbonaro originario di Meldola, Felice Orsini. Esemplare all'interno in buone-ottime condizioni di conservazione. Orso Teobaldo Felice Orsini (Meldola, 10 dicembre 1819 - Parigi, 13 marzo 1858) fu un attivista e scrittore italiano, noto per aver causato una strage, nel tentativo di assassinare l'imperatore francese Napoleone III. Felice Orsini nacque nel 1819 a Meldola, una cittadina romagnola dello Stato Pontificio (attualmente in provincia di Forlì-Cesena), importante per i suoi mercati e per la produzione e commercio della seta, paese che diede i natali a significative figure del Risorgimento italiano, come Piero Maroncelli ed Aurelio Saffi. Il padre Andrea (1788-1857), ex ufficiale al seguito di Napoleone durante la Campagna di Russia, era iscritto alla carboneria, ma era al tempo stesso un confidente della polizia pontificia. Sua madre si chiamava Francesca Ricci (1799-1831) ed era originaria di Firenze. In tenera età si trasferì a Imola, dove fu affidato alle cure amorevoli del facoltoso zio paterno. A soli 17 anni, il 5 luglio 1836, Felice uccise con un colpo di pistola Domenico Spada, il cuoco di famiglia. Il giovane fuggì dopo l'omicidio e lo zio Orso, intimo amico del vescovo di Imola Mastai Ferretti, cercò di proteggere il nipote dall'accusa di omicidio volontario mossa dal fratello della vittima, mémore delle numerose liti precedentemente scoppiate tra i due. Condannato a sei mesi di carcere per omicidio colposo, riuscì ad evitarli ottenendo l'ammissione in seminario, presso il convento degli Agostiniani di Ravenna, dopo aver inviato una supplica al papa Gregorio XVI. Ben presto, però, com'era prevedibile, Orsini abbandonò il convento per trasferirsi a Bologna dal padre; in seguito tornò a Imola dallo zio, che lo convinse a riprendere gli studi. Dopo essersi laureato ed aver intrapreso la professione di avvocato, partecipò ai moti di Romagna dell'agosto 1843. Successivamente fondò la nuova società segreta "Congiura Italiana dei Figli della Morte", attività per la quale fu condannato all'ergastolo, da scontarsi nel forte pontificio di Civita Castellana, nell'alto Lazio. Nel luglio 1846 uscì per l'amnistia di Pio IX. Stabilitosi a Firenze, città natale della madre, continuò a dedicarsi attivamente alla cospirazione e, nel 1848, si aggregò al corpo Cacciatori dell'Alto Reno del comandante bolognese Livio Zambeccari. Tra le loro file partecipò alla prima guerra di indipendenza. Tornato a Firenze, il 28 giugno 1848 si sposò con Assunta Laurenzi. Seguace di Giuseppe Mazzini, svolse attività rivoluzionarie nello Stato della Chiesa e nel Granducato di Toscana. All'inizio del 1849 Orsini fu eletto deputato all'Assemblea Costituente della Repubblica Romana, nel collegio della provincia di Forlì, ma l'intervento dell'esercito francese a sostegno del Papa obbligò Orsini a fuggire. Nel marzo 1850 si stabilì a Nizza, città al tempo compresa nel Regno di Sardegna, dove aprì un'attività di copertura, la ditta "Monti & Orsini", dedicata alla vendita della canapa prodotta e commerciata dallo zio Orso. Qui nacquero le due figlie, Ernestina (1851-1927) ed Ida (1853-1859); qui Orsini conobbe l'esule berlinese Emma Siegmund, con la quale instaurò un forte rapporto. La tranquilla vita da commerciante non gli si addiceva: accettò la richiesta di Mazzini di guidare, nel settembre 1853, un tentativo insurrezionale nella zona di Sarzana e Massa, nell'alta Toscana, che fallì sul nascere. Orsini decise quindi di trasferirsi a Londra, lasciando la sua famiglia a Nizza. Nel 1854 preparò altri due tentativi insurrezionali, di stampo mazziniano, in Lunigiana e in Valtellina, entrambi senza fortuna. Durante un suo viaggio clandestino nell'Impero asburgico, venne arrestato in Ungheria il 17 dicembre 1854 e rinchiuso nelle carceri del Castello di San Giorgio a Mantova. Orsini fu protagonista di una rocambolesca fuga, nella notte tra il 29 e il 30 marzo 1856, grazie all'aiuto della facoltosa Emma Siegmund, che riuscì a corrompere i carcerieri e ad accompagnarlo in carrozza fino a Genova, da dove s'imbarcò per l'Inghilterra. L'evasione da una delle fortezze del Quadrilatero, ritenute inespugnabili e simboli della potenza austriaca nel Lombardo-Veneto, venne subito ripresa dalla stampa di tutta Europa, anche per l'incidente occorso ai fuggitivi che si tramutò in occasione di scherno verso il proverbiale rigore asburgico. Infatti, l'immediata inchiesta ordinata personalmente dal generale Radetzky, oltre alle complicità interne ed esterne al carcere, appurò che la carrozza con a bordo Orsini e la Siegmund ruppe il timone nel cremonese, davanti al posto di polizia austriaco della fortezza di Pizzighettone. I due vennero soccorsi dai gendarmi che provvidero a sostituire il timone rotto con uno nuovo, preso dai magazzini della fortezza. Dell'episodio si venne a conoscenza per il fatto che la Siegmund, presentatasi con il falso cognome di O'Meara, lasciò una somma per pagare il timone, ma la cosa non era prevista dai regolamenti militari. Il responsabile della contabilità, quindi, inviò un dettagliato rapporto all'amministrazione di polizia per sapere in quale capitolo potesse imputare l'entrata, così svelando che la fuga di Orsini era stata ingenuamente favorita proprio dalla gendarmeria austriaca. Uno dei secondini corrotti, Tommaso Frizzi, trovato in possesso della forte somma di denaro ricevuta, fu condannato a otto anni di carcere duro.