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Livres anciens et modernes

Fabiani, R. Petrocchi, C. D'Erasmo, G. Maccagno, A.M.

PALEONTOLOGIA DEL SAHABI.

50,00 €

Cellerino Luigi Studio Bibliografico

(Alessandria, Italie)

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Détails

Auteur
Fabiani, R. Petrocchi, C. D'Erasmo, G. Maccagno, A.M.
Langues
Italien

Description

In RENDICONTI ACCADEMIA NAZIONALE DEI XL, Serie IV, Volume III, Roma, 1952. 4°, Brossura editoriale. Uno strappetto al dorso, bella copia.
Fabiani, Ramiro- Introduzione generale, pp. 5-7.
Petrocchi, Carlo. Notizie generali sul giacimento fossilifero di Sahabi. Storia degli scavi. Risultati, pp.9-33, 1 carta e 2 illustrazioni nel testo e 13 tavole fuori testo.
D'Erasmo, Geremia- I pesci del Sahabi, pp. 35-71 e 4 tavole fuori testo con complessive 119 figure.
Maccagno, A.M.- I coccodrilli di Sahbi- pp.74-119 con 3 tavole fuori testo.
Sahabi si trova a circa 120 Km a sud di Ajdabiya, lungo la pista che in direzione sud porta alle oasi di Cufra e Gialo nel Sahara libico meridionale. A Qasr-es-Sahabi negli anni tra il 1920 e la fine del 1930 oltre alla ridotta militare italiana era allestito anche un campo di aviazione con una pista di atterraggio per piccoli aerei. Il fortino italiano, sulla strada per i vari siti nel
deserto libico, era un punto di riferimento e di sosta per carovane ed esploratori. Il 26 novembre 1930 sostò a Sahabi un convoglio dell’esercito italiano diretto verso sud a Gialo. Viaggiava con il convoglio un giovane esploratore: Ardito Desio. Il geologo italiano più famoso del secolo scorso osservò in quest’occasione che l’area era ricca in resti fossili di organismi marini. Erano anni in cui Desio aveva un’attività molto intensa, particolarmente focalizzata al rilevamento e alla cartografia geologica ̶ Desio è stato un vero pioniere della geologia della Libia ‒ e viaggiando da Bengasi, diretto in diverse aree di studio all’interno del deserto del Sahara, passò e si fermò a Sahabi varie volte negli anni seguenti (1931 e 1932). Le relazioni geologiche del tempo, non solo di Desio ma anche di altri geologi italiani che ebbero occasione di visitare l’area della ridotta militare, come il pisano Giuseppe Stefanini, riportano della presenza di ossa fossili, senza tuttavia fornire alcun altro dettaglio al riguardo.
Soldati e altro personale italiano assegnato alla ridotta di Sahabi sin dai primi momenti dell’allestimento dell’avamposto avevano raccolto i resti fossili che erano così comuni nei dintorni, ma solamente all’inizio del 1934, un ufficiale sanitario, intuendo l’importanza scientifica possibile di questi resti, riportò della loro presenza alle autorità (il governatore della Cirenaica). A seguito di queste segnalazioni il governatore incaricò il dottor Carlo Petrocchi di studiare questi resti fossili e di effettuare un rilevamento dell’area Sahabi. Da quel momento il sito di Sahabi sarà sempre in seguito legato al nome di Petrocchi. In occasione di uno dei primi sopralluoghi, Petrocchi identificò uno dei fossili più indicativi di Sahabi, un cranio e una mandibola di un grande proboscidato. Per il recupero di questo fossile gigantesco e spettacolare (che in seguito consentì allo stesso Petrocchi di istituire un genere e una specie nuovi per la scienza, Stegotetrabelodon syrticus) la squadra di tecnici diretta da Petrocchi impiegò oltre un mese di lavoro. In seguito a questi risultati Petrocchi fu incaricato di proseguire i suoi studi e le ricerche sotto l’egida dell’allora Ministero dell’Africa Italiana. Per oltre cinque anni, dal 1934 al 1939, eseguì numero
se campagne di scavo e si adoperò per un lungo e intenso lavoro di preparazione, restauro e studio del materiale raccolto. Il proseguire del suo lavoro non fu però facile. Nonostante i primi momenti di entusiasmo Petrocchi fu lasciato sostanzialmente senza alcun supporto. L’ingente collezione di materiale fossile raccolto e trasportato a Bengasi, fu utilizzata nel 1939 per l’allestimento del Museo Libico di Storia Naturale di Tripoli. Petrocchi ne fu nominato direttore e, suo malgrado, fu costretto ad abbandonare Bengasi e le sue amate campagne di scavo a Sahabi per trasferirsi a Tripoli.Petrocchi contribuì a descrivere ed illustrare parte della fauna (con particolare attenzione ai proboscida-ti) mentre alcuni fossili furono affidati per lo studio ad altri eminenti paleontologi italiani (A.M. Maccagno descrisse i resti di coccodrillo, P. Leonardi quelli
dei suidi). È curioso ricordare che i resti di un piccolo antracoteride, un mammifero artiodattilo, furono inizialmente descritti da G. Bonarelli come appartenenti ad un dinosauro che fu battezzato Libycosaurus petrocchii (oggi rinominato Merycopothamus petrocchii). All’inizio del 1940, Petrocchi fu incaricato di preparare un’esposizione paleontologica a Napoli in occasione della Mostra Triennale d’Oltremare e un calco dello Stegotetrabelodon realizzato per quella mostra è oggi conservato al Museo Civico di Zoologia di Roma. L’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale sorprese Petrocchi mentre era in Italia per la preparazione di questa mostra e, nonostante abbia ripetutamente richiesto di poter
rientrare a Tripoli con la famiglia, fu costretto a rimanere in Italia. Negli anni seguenti collaborò con l’Istituto di Paleontologia dell’Università di Roma, continuando a lavorare su quei resti che erano stati portati temporaneamente in Italia, ma che non sono più tornati a Tripoli. (http://www.ambtbilisi.esteri.it/resource/2013/05/25805_f_20130517_Darwin_43.pdf).
Su G. Fabiani e G. D'Erasmo vedi http://www.treccani.it/enciclopedia/ramiro-fabiani_(Dizionario-Biografico)/ e http://www.treccani.it/enciclopedia/geremia-d-erasmo_(Dizionario-Biografico)/