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Livres anciens et modernes

Pagliarani, Elio

Manoscritto autografo e dattiloscritto con le prime stesure di «Inventario privato»

1957-1959

6500,00 €

Pontremoli srl Libreria Antiquaria

(MILANO, Italie)

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Détails

Année
1957-1959
Auteur
Pagliarani, Elio
Pages
26 fogli (21 manoscritti a penna blu e 5 dattiloscritti) e prima bozza della raccolta composta da 19 fogli sciolti dattiloscritti e autografi.
Format
in 4°,
Thème
Poesia Italiana del '900
Description
fogli sciolti,

Description

AUTOGRAFO Fogli bruniti e fragili ma nel complesso ben conservati, con occasionali mancanze perimetrali che non intaccano il testo. Le carte di lavoro dell’opera seconda di Elio Pagliarani «Inventario privato». Composto da fogli con le prime stesure autografe delle poesie in seguito raccolte nella silloge (oltre ad alcuni inediti) e da quella che appare come una prima bozza dattiloscritta, questo straordinario insieme permette di seguire le primissime fasi di stesura, correzione e ricerca di Pagliarani sui componimenti scritti tra il marzo e il novembre del 1957, infine editi da Veronelli nel gennaio del 1959. Nello specifico, il nucleo più antico comprende ventisei fogli autografi e cinque dattiloscritti con dodici delle ventuno poesie successivamente pubblicate, ovvero: «A dirli questi mesi sembra agevole»; tre differenti versioni di «Che ci portiamo addosso il nostro peso»; quattro versioni, con importanti modifiche e parti di testo poi rimosse, di «Ti dicevo al telefono (di cui»; tre versioni – di cui una datata «17 – 18 aprile 1957» - di «Ma lo stimolo è più forte e se le forze»; due versioni di «T’alimenta la gioia perché divampi»; due versioni di «È già autunno, altri mesi ho sopportato»; tre versioni di «Amici spesso buoni mi deridono»; «Il verso “quanto di morte noi circonda”»; «Amore, la tua angoscia trasparente»; «Al sole d’aprile del giorno»; «Io non ti lascio alibi, ti amo»; «Sarà ora di chiudere, amore». Da segnalare un disegno a penna autografo – che appare come un volto femminile – a lato di «Che ci portiamo addosso il nostro peso». Il gruppo dattiloscritto riporta invece «Se facessimo un conto delle cose», «A dirli questi mesi», «È già autunno» e «Io non ti lascio alibi, ti amo» raccolti sotto il titolo – assente nella silloge pubblicata - «Tre poesie per un amore milanese». Oltre a queste prime prove dei componimenti confluiti in «Inventario privato», le carte conservano cinque poesie non accolte nella versione definitiva e rimaste inedite in questa forma. Di grande interesse è anche quella che appare come una prima bozza: composta da diciannove fogli complessivi, l’attenzione è immediatamente catturata dall’indice scritto a penna blu alla seconda carta. Sotto i titoli che nomineranno le tre sezioni della raccolta - «Il primo foglio»; «A riporto»; «Totale S.E. & O.» -, troviamo infatti giudizi sintetici espressi sulle poesie (sette per ogni sezione, come nella versione pubblicata) verosimilmente da Giacomo Zanga (poi prefatore dell’edizione Veronelli) a cui Pagliarani doveva aver sottoposto la bozza. Accanto a sinceri apprezzamenti – «mi piace»; «è bella e vigorosa»; «secondo me, è la più bella […]», ecc. -, non mancano dubbi - «non l’ho capita» - e un lapidario «non mi piace», in corrispondenza di «Hai fatto burrasca». In chiusura, un giudizio più esteso e significativo: «Il dolore è vero, e qua e là ne sei come innamorato: di più che non verso la donna». Seguono fogli dattiloscritti comprendenti quindici delle ventuno poesie finali. Mancano infatti – lo dimostrano i salti nella numerazione dei testi – le carte relative a: «Se facessimo un conto delle cose»; «T’alimenta la gioia perché divampi»; «Al sole d’aprile del giorno»; «Sotto la torre, al parco, di domenica»; «È difficile amare in primavera»; «Sarà ora di chiudere, amore». Un documento dunque prezioso, capace di fotografare diversi momenti nel lavoro di realizzazione di questa raccolta coeva, nella scrittura, al poemetto «La ragazza Carla» (apparso per la prima volta su «Il Menabò» nel 1960) e segnata dall’amore non corrisposto per una donna, la «milanese signorina». Ma questo amore, come scrive Giacomo Zanga nella prefazione, permette in verità di condurre un’analisi dell’umano valutandone l’effettiva posizione rispetto all’ordine generale delle cose: «[.] tanto più mi piace la poesia di Elio Pagliarani quanto più riesce a sottrarsi - nonostante il suo interesse per la sorte dell’uomo - alla sottile, e talvolta efferata, antropologicità di parecchia poesia tradizionale; aggiungerò anche, ampliando il discorso, che l’arte moderna, in genere, mi entusiasma proprio per il suo considerare l’uomo dalla parte dell’universo anziché l’universo dalla parte dell’uomo [.]. Nella poesia di Elio Pagliarani trovo l’uomo collocato nella sua giusta misura; infatti: “poltrone alla prima - ci rimane, o dignità, se abbiamo solo in testa - svariate idee d’amore e d’ingiustizia”. Il che non toglie che si possa amare sino all’affettuosità più abbandonata e sino al ridicolo [.]. Ed eccoci così autorizzati a citare, insieme con il desolato lirismo di Eliot e la passionale epicità di Brecht, la semplice, attualissima, umanissima pateticità di Charlot».
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