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Livres anciens et modernes

Selvaggio (Il) [Maccari - Soffici - Malaparte - Carrà - Morandi, - Rosai - Longanesi - Cremona - Bartolini - De Pisis Tamburi - L, Ega - Guttuso - Mucci - Bilenchi - Montanelli Et Alii]

Il Selvaggio. Battagliero fascista [il sottotitolo varia]

1924-1943

19000,00 €

Pontremoli srl Libreria Antiquaria

(MILANO, Italie)

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Détails

Année
1924-1943
Lieu d'édition
Colle Val d’Elsa poi Firenze poi Torino poi Roma,
Auteur
Selvaggio (Il) [Maccari - Soffici - Malaparte - Carrà - Morandi , - Rosai - Longanesi - Cremona - Bartolini - De Pisis Tamburi - L, Ega - Guttuso - Mucci - Bilenchi - Montanelli Et Alii]
Pages
paginazione variabile.
Format
in folio, con leggere variazioni di dimensione,
Edition
Edizione originale.
Thème
Poesia Italiana del '900 Narrativa Italiana del '900 Libri, Illustrati e d'Artista Fascismo Satira Incisioni
Description
fascicoli legati in 4 volumi in tela rossa con titoli e grande incisione ai piatti, che riprende l’originale incisione della legatura editoriale dell’annata 1926, titoli ai dorsi;
Premiére Edition
Oui

Description

PERIODICO Edizione originale. Rarissima collezione completa. Presenti tutti i 276 numeri dal 1924 al triplo numero finale del 1943 (1/2/3), compreso l’introvabile numero 12 del luglio 1931 che fu sequestrato. Dettaglio annate: 1924: 24 numeri totali; 1925: 45 numeri totali; 1926: 10 numeri totali; 1927: 24 numeri totali; 1928: 24 numeri totali; 1929: 24 numeri totali; 1930: 4 numeri totali; 1931: 21 numeri totali; 1932: 12 numeri totali; 1933: 9 numeri totali; 1934: 15 numeri totali; 1935: 10 numeri totali; 1936: 12 numeri totali; 1937: 10 numeri totali; 1938: 5 numeri totali; 1939: 10 numeri totali; 1940: 4 numeri totali; 1941: 6 numeri totali; 1942: 6 numeri totali; 1943: 3 numeri totali. La storia del «Selvaggio» — unanimemente riconosciuta come la più interessante e pregevole tra le riviste del fascismo — è nota, almeno ai cultori del primo Novecento letterario italiano; la letteratura di riferimento è vasta. Non vale qui la pena riprendere i dettagli della vicenda, che richiameremo per sommi capi. Nata in condizioni sostanzialmente disagiate, nel luglio del 1924, in un pittoresco e isolato paesino in provincia di Siena, per iniziativa del ras della zona, che vi impiega il venticinquenne Mino Maccari, la rivista nei primi due anni è un inqualificabile fogliaccio squadrista con qualche incisione ancora acerba, che oggi guardiamo con tenerezza perché poi Maccari è diventato Maccari. Eppure, i pochi e irregolari fascicoli che compongono le prime due annate 1924-25 appartengono a quel sottoinsieme del ‘raro’ che chiamiamo ‘introvabile’. -- Dal 1926, si cambia: «Qui bisogna correggere un errore comune a chi si è occupato di questo foglio, certo per non aver preso in considerazione i numeri del 1926: si è scritto generalmente che il 1927 è l’anno in cui ‘Il Selvaggio’ viene diretto da Maccari e stampato a Firenze, mentre i numeri del 1926, dal 2 al 10, che abbiamo consultato, dimostrano come sia questo l’anno iniziale della gestione di Maccari e in cui prende forma, a Firenze, il nuovo ciclo della pubblicazione». Maccari si impadronisce del foglio, lo trasferisce a Firenze e piuttosto rapidamente entra nell’orbita di due giganti del nostro primo Novecento: nell’ordine, Curzio Malaparte, e — per suo tramite — Ardengo Soffici. Di Malaparte, Maccari diventa il braccio destro: l’uno andrà a Torino per fare il direttore de «La Stampa» (nel 1930), l’altro ne diviene automaticamente caporedattore; una coppia di fatto. All’inizio, è Malaparte che ospita il ‘tenero’ Mino appena sbarcato a Firenze dalla profonda provincia dei ‘selvaggi’: la sede della rivista coincide per un po’ di fascicoli con l’indirizzo esatto della Soc. Anon. La Voce, diretta da Malaparte. -- Più interessante, dal punto di vista artistico del «Selvaggio», il rapporto con Soffici. Soffici è un gigante che a quest’altezza cronologica ha praticamente già fatto e disfatto tutto: amico di Apollinaire, figura centrale di «Lacerba» e della «Voce» derobertisiana, grande interprete dell’impressionismo ma artista cubofuturista, inventore del libro-oggetto (il «Bizzeffe»), quindi reazionario fautore del ‘rappel à l’ordre’, fascistissimo, di un’intelligenza da lasciare senza fiato. Le «Opere» pubblicate da Vallecchi in sette volumi nel corso degli anni ’60 sono una vera e propria miniera d’oro, per la storia minuta del Novecento, che Soffici ha percorso tutta, e conosciuto tutti, e c’era quasi sempre; e per l’acutezza del pensiero che le attraversa da volume uno a volume sette. Scrive Cavallo che «Soffici […] aiuterà notevolmente ad alzare il livello della rivista con un acuto spirito critico e una mano felice nello scegliere e indicare insieme con Maccari artisti importanti. Sarà certo Soffici a introdurre Fattori, Spadini, Boncinelli nel discorso artistico del ‘Selvaggio’»; che, detta così, sembra anche normale. Ma poi, sempre nel racconto di Cavallo — il migliore che ci sia capitato di leggere, oltre a Ragghianti, tra il mare magnum di parole spese sulla rivista — Soffici spunta dietro a ogni cosa: è lui che porta Carrà, presenza importante già nel ’26 ma soprattutto nel ’27, con sei contributi di cui tre incisioni e un’acquaforte; è Soffici che introduce Morandi, «la collaborazione artistica forse più interessante di tutto ‘Il Selvaggio’, che durò a lungo e con un serie notevolissima di disegni e acqueforti (24 incisioni e una decina di disegni) che contribuì non poco alla conoscenza dell’artista bolognese»; e quindi Rosai, Lega, e Soffici stesso, ça va sans dire: «[.] si deve al gruppo di Maccari l’aver suscitato anche in Italia, ritardataria rispetto alla Francia e alla Germania in questo campo, l’amore per il disegno e l’incisione, che prima erano intese solo come arti preliminari e dipendenti dalla pittura» (Cavallo). Un gruppo di tale qualità e di tale novità che, appena chiuso il primo anno fiorentino, non senza problemi (ne parliamo dopo), il 27 febbraio 1927 già inaugura la prima mostra del «Gruppo del Selvaggio», sotto gli auspici dell’allora sottosegretario Giuseppe Bottai (la storia delle più interessanti riviste culturali del fascismo ci insegna che, quando entra in scena Bottai, è fatta: la sopravvivenza è assicurata). -- Menzione a sé meritano anche Leo Longanesi (stabile collaboratore dal 1926), Luigi Bartolini e Italo Cremona: «Ai fuochi pirotecnici di Bartolini, il cui contributo non si ferma alle acqueforti, ma introduce nel ‘Selvaggio’ anche una critica cinematografica di livello creativo e polemico, s’intreccia negli anni trenta uno degli ultimi apporti significativi, quello latamente surrealista di Italo Cremona. […] Dopo Cremona sulle pagine del ‘Selvaggio’ arriva qualche altro nome, che sarà destinato a proseguire con successo la vicenda artistica; fra gli ultimi Guttuso e Tamburi, che segnano però già la svolta dei tempi, il neorealismo si affaccia con le prime note di una nuova rivoluzione che tiene il suo alfiere nell’esempio inesauribile di Pablo Picasso» (Cavallo). -- «Il Selvaggio», nella sua avventura quasi ventennale, è stato un grandissimo foglio d’arte, e di intelligente provocazione; era il foglio personale di Mino Maccari — che trovava di che vivere da altre parti, sempre trafficando con la carta stampata — e ne faceva quel che voleva; sulle pagine della rivista si osserva, anzitutto, la sua personale crescita, come disegnatore e incisore, fino a toccare livelli davvero importanti, oggi unanimemente riconosciuti. Ma dai due giganti Soffici e Malaparte aveva imparato anche l’arte di fare il talent scout, e di circondarsi quindi degli artisti prima citati e di tantissimi altri minori, spesso saporosi; ma anche di scrittori del calibro di Velso Mucci, Romano Bilenchi, Arrigo Benedetti, Indro Montanelli. Mino Maccari, con la collana «Documenti» del «Selvaggio», è stato il primo editore di Montanelli: basterebbe, forse, dire questo. Bibl.: C.L. Ragghianti, Il Selvaggio di Mino Maccari (Venezia 1955); L. Cavallo, Indici del Selvaggio (Firenze 1969); Il Selvaggio, ristampa anastatica (Firenze 1976-1977)
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