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Livres anciens et modernes

Govoni, Corrado

Aladino. Lamento su mio figlio morto

Mondadori,, 1946

300,00 €

Pontremoli srl Libreria Antiquaria

(MILANO, Italie)

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Détails

Année
1946
Lieu d'édition
Milano,
Auteur
Govoni, Corrado
Pages
pp. 167 [3].
Série
[collana «Lo Scrigno»],
Éditeurs
Mondadori,
Format
in 8°,
Edition
Prima edizione.
Thème
Poesia Italiana del '900 Storia
Description
brossura con unghie; sovracoperta risvoltata a tamburo stampata in nero ai piatti e al dorso; titolo in rosso al piatto anteriore;
Premiére Edition
Oui

Description

LIBRO Prima edizione. CON AUTOGRAFO. Ottimo esemplare pregiato da bellissima e importante dedica autografa dell’autore a Giuseppe Lipparini: «A Giuseppe Lipparini -- che più di tutti come -- padre e come poeta può -- comprendere il mio inumano -- immedicabile -- strazio di poeta -- e di padre -- Con antica ammirazione e con affetto -- Corrado Govani -- Roma, maggio 948 - ». Conserva schede bibliografiche editoriali. Dopo aver corteggiato il duce lungo tutti gli anni ’30 per ricevere incarichi e sovvenzioni — non solo attraverso gli scritti encomiastici poi raccolti nel «Poema a Mussolini» (1937) ma anche tramite un nutrito carteggio recentemente pubblicato da Iannaccone — alla caduta del fascismo nel settembre ’43 Govoni si staccò definitivamente dalla prospettiva fascista. Il figlio Aladino, partigiano comunista, perì il 24 marzo 1944, nel tragico eccidio delle Fosse Ardeatine: la reazione del padre fu tremenda, e così come aveva adulato il duce, passò ad attaccarlo con violenza inaudita nel poema della «Fossa carnaia ardeatina», pubblicato alla macchia nel novembre ’44 sotto le insegne del «Movimento Comunista d’Italia», presso la fedele tipografia Cuggiani di Roma (la medesima del «Poema a Mussolini»). Nel libretto, il poeta giungeva a prefigurare con stupefacente esattezza l’epilogo di piazzale Loreto, al culmine di una impressionante sequela di insulti. Due anni dopo, Govoni ritorna sullo straziante «lamento su mio figlio morto» con una prospettiva meno cruda ma altrettanto disperata e disperante: «Aladino» è un poema in centotré canti più un epilogo, dedicato «Ai trecentotrentacinque miserandi e gloriosi martiri insepolti e invendicati della fossa carnaia ardeatina». «Dai versi liberi della “Fossa carnaia”, spezzati ma espansi, Govoni torna in “Aladino” all’endecasillabo e alla rima, come cercando comunque una forma, un limite. Nella “Fossa carnaia”, Aladino è trasfigurato in figura epica [.]; adesso, diventa figlio davvero: ricordo intimo, tenerezza, un bambino con la testa sul cuscino, un ragazzo a cui piacevano il pane e le sigarette, il figlio che non ha lasciato un figlio in cui riconoscerlo, la donna che ha amato, la madre che non vuole credere che è morto. C’è uno sforzo per “far passare” la morte nel “valore”: la fossa carnaia diventa una “lugubre sepolta cattedrale”. Forse dal sangue del figlio nascerà un “nuovo senso non belluino” rappresentato dal simbolo in cui Aladino si riconobbe: “La bandiera che avvolge ora i tuoi resti”, che “sventolò dentro Roma liberata” con “quel suo abbraccio di face e di martello”. Ma è un tentativo fallito; gli ultimi versi chiedono ancora annientamento e fine» (Portelli). Portelli, L'ordine è già stato eseguito: Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria (2012), cap. 2