In 12°; 192 pp. Legatura coeva in mezza-pelle verde. Titolo, filetti e ricchi fregi in oro al dorso. Piatti foderati in bella carta marmorizzata verde. Tagli spruzzati in verde. Qualche macchiolina di foxing dovuto alla qualità della carta e nel complesso, esemplare in buone-ottime condizioni di conservazione. Non comune edizione, stampata a Reggio Emilia da Fiaccadori, in elgante legatura coeva, di questo celebre scritto del noto scrittore e filosofo fiorentino, Giovan Battista Gelli (Firenze, 12 agosto 1498 24 luglio 1563). Scrive Angela Piscini nel Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, Volume 53 (2000): "Il secondo dialogo del G., La Circe, stampato nel 1549, è dedicato a Cosimo De Medici duca di Firenze e subito adduce l'autorità di Plutarco, insieme a Plinio fonte principale dell'opera, per celebrare la sacralità del potere dei principi, "i veri simulacri e le vere immagini d'Iddio, con ciò sia cosa che e' tenghino quel grado negli stati loro che tiene Dio ottimo e grandissimo nello universo". Se I capricci sviluppavano le loro argomentazioni nello spazio realistico della città di Firenze, modesto come la stanza di Giusto, La Circe mette in scena personaggi mitologici, li colloca in un paesaggio simbolico e aspira a proporsi come vera e propria operetta morale. Ulisse ottiene da Circe il permesso di riportare con sé in patria tutti i greci che, trasformati dalla maga in bestie, acconsentano a riprendere la forma umana. Lungo la riva deserta del mare egli incontra undici animali (l'ostrica e la talpa, un tempo pescatore e contadino; una serpe, una lepre e un capro, rispettivamente medico, gentiluomo e giurista; una cerva, che era stata moglie di un filosofo; il leone, il cane, il cavallo e il vitello, emblemi delle quattro virtù che sono il cardine della vita civile, prudenza, giustizia, fortezza e temperanza; ultimo l'elefante, che in vita era stato un filosofo). Tutti, salvo l'elefante, respingono la proposta di Ulisse e dimostrano con logica implacabile che, vista l'esperienza concreta di ciascuno, la condizione animale è assai più gradevole, sicura e razionale della condizione umana: soltanto l'uomo infatti piange nel venire al mondo e ben a ragione poiché la vita umana è un continuo combattimento, una sofferenza senza tregua. La natura, che alle bestie concede almeno un'istintiva e immemore felicità, è spietata nei confronti dell'uomo, davvero - leopardianamente - matrigna. Il problema, nella Circe, si pone dunque nei termini di un contrasto tra natura e ragione, materia e spirito;
". Non comune edizione.