In-8°, pp. 94,51, legatura in mezza pelle muta. Gora di umidità alle prime 30 carte e alle ultime carte. MINZONI, Onofrio. – Figlio di Antonio e Livia Fenati, entrambi originari di Bagnacavallo (presso Ravenna), nacque il 25 genn. 1734 a Ferrara, dove, dopo aver svolto studi letterari, teologici, filosofici e matematici presso i gesuiti, venne ordinato sacerdote dall’arcivescovo M. Crescenzi nel 1759. Divenuto ben presto un apprezzato predicatore, fu richiesto dal Senato di Venezia e vi si trasferì, attendendo al tempo stesso all’insegnamento della filosofia, nonché all’approfondimento della matematica, come attestano, fra i suoi manoscritti, le risposte a quesiti in materia da lui inviate alle accademie di Londra e Parigi. Al termine dell’incarico presso il Senato, che alimentò la stima del doge Paolo Renier nei sui confronti, il M. lasciò Venezia, dopo aver rifiutato la carica di canonico penitenziere della basilica di S. Marco, preferendo, pare, non stabilirsi fuori Ferrara.Assecondando la richiesta dell’editore A. Pepoli, il M., benché sessantenne e interamente dedito agli impegni ecclesiastici, acconsentì alla pubblicazione delle sue Rime e prose (Venezia 1794) composte diversi anni prima, rivelando il talento letterario coltivato fin dalla gioventù. Il positivo riscontro della raccolta, prevalentemente poetica, fu immediato, come attestano le numerose edizioni che nel successivo decennio, a Firenze, Pavia, Pisa, Parma e Ferrara, fecero seguito a quella pepoliana. Nel 1811, sempre a Ferrara, l’opera fu riedita e ampliata per le cure dello stesso M., che affermava nella prefazione di aver da lungo tempo abbandonato la versificazione e di non essersi mai considerato un poeta di professione. La raccolta comprende sessantatre sonetti, il più noto dei quali è quello Per la morte di Cristo, composto all’età di ventisette anni e molto apprezzato da V. Monti che vi si ispirò per i suoi sonetti Sulla morte di Giuda (1788). Figurano inoltre la canzonetta A Maria tenente sulle braccia il Bambino, lo sciolto In lode di s. Luigi Gonzaga, il capitolo Per nozze, le traduzioni in versi martelliani di due cantici scritturali, nonché le prose poetiche Sugli occhi di Maria e Sopra la Croce. Benché estimatore della tradizione letteraria italiana, il M. non attribuì ai sonetti un contenuto amoroso, privilegiando i temi religiosi, da buon conoscitore delle Sacre Scritture che riteneva valida fonte di alta poesia. La sua produzione, caratterizzata da un tardo secentismo non privo di elementi di derivazione arcadica, poté godere, sul finire del Settecento, di una notorietà determinata principalmente dall’incondizionata ammirazione del giovane V. Monti. Questi, considerando il M. un maestro, gli indirizzò, fra l’altro, una delle lettere dedicatorie apposte al proprio Saggio di poesie (Livorno 1799), definendolo «un gran poeta» e influendo sulle posizioni di altri recensori. Uno di essi è F. Torti che concluse il suo Prospetto del Parnaso italiano (III, Perugia 1812, pp. 249-253) con un capitolo dedicato al M., dimostrandosene fermo sostenitore, anche a seguito di una lettera del 1793 nella quale Monti lo aveva esortato a non dimenticare i tre poeti danteschi: G. Parini, V. Alfieri e lo stesso Minzoni.