Prima e unica edizione di questi trattati sulla prospettiva e la retorica, scritti dall'umanista calabrese, che colgono un momento fondamentale dell'evoluzione artistica del rinascimento italiano.Opera di esaltazione della prospettiva nell'arte rinascimentale, e una preziosa fonte iconografica per il coro ligneo andato perduto nella Basilica del Santo a Padova.Quella che nell'indice finale è titolata Laus perspective cori in aede sancti Antoni patavi racchiude la parte la più interessante e meno evidenziata degli Opuscula, loda una invenzione moderna e meravigliosa, la prospettiva. Si tratta di due componimenti; il primo è un'epistola indirizzata ad Antonio Siculo, Antonio degli Adinolfi, Rettore delle arti a Padova, in questa si parla della degenerazione dell'arte rispetto agli antichi, anche questo, tema caro all'umanesimo che così tanto si sentiva figlio dell'antichità classica tanto nella letteratura quanto nelle arti visive, e al tempo stesso della introduzione della prospettiva in pittura, nelle opere di quei pochi artisti contemporanei che Colacio non solo individua. Più in dettaglio addirittura segnala alcune opere specifiche in cui si può chiaramente vedere l'applicazione della scienza prospettica. E' un excursus sugli artisti del tempo che attraversa l'Italia, e che si svolge attraverso il segno della modernità. In questo frangente l'autore si dimostra un osservatore estremamente attento e un critico d'arte tanto capace e sensibile quanto tempestivo nel segnalare quelle figure di artisti che ancora oggi la storiografia artistica riconosce come personalità chiave nello sviluppo dell'arte rinascimentale, e di ravvedere nelle loro opere quei filoni di sperimentazione tecnica e di innovazione artistica che hanno davvero segnato il futuro svolgimento dell'arte italiana. Antonello da Messina è il primo pittore a essere nominato: verso di lui si rivolge la massima ammirazione dell'autore per l'opera pittorica in San Cassiano, Cassiani aede: si tratta di quella che oggi è nota come Pala di San Cassiano, datata circa 1475/76, che oggi sopravvive solo in frammento (la Madonna, S. Nicola, la Maddalena, S. Orsola, S. Domenico) a Vienna; l'opera ebbe una vicenda piuttosto travagliata: sparì dalla chiesa verso i primi decenni del XVII secolo, e, ridotta in frammenti, riapparve a Bruxelles per poi prendere definitivamente la strada per Vienna; a causa di tali spostamenti si perse l'attribuzione ad Antonello, a favore variamente di Giovanni Bellini o del Boccaccino, fino al 1929, quando si arrivò alla riunificazione dei frammenti superstiti, e all'attribuzione certa al pittore messinese. La Pala di San Cassiano segna un momento topico nell'arte di Antonello e nella pittura rinascimentale tutta: solo nei primi anni settanta l'artista conosce la prospettiva, appresa durante il viaggio che dal sud lo condusse a Venezia, e la introduce in quest'opera, che nell'impianto prospettico molto deve alla struttura della pala di Brera di Piero della Francesca. Questo dipinto divenne un modello di tale successo e fortuna da essere ripreso da Bellini, Giorgione (che alla luce naturale della pala si ispirò per la sua pittura tonale) e dai Vivarini. L'opera di cui Colacio parla in primis, è altresì considerata l'opera fondamentale, e chiamata in causa da tanta letteratura, anche per quanto riguarda un'altro momento assoluto di svolta in Italia: l'introduzione della tecnica a olio. Che Antonello ne sia l'inventore o l'artista che esportò tale tecnica definitivamente a Venezia, di certo mutuandola dai fiamminghi e dai francesi conosciuti a Napoli alla corte d'Angiò, il contributo di Antonello alla sua diffusione è indiscusso. Vasari lo riconosce come l'introduttore in Italia dell'olio su tavola ("la quale tavola - di San Cassiano - fu da Antonello con ogni sua industria et arte senza risparmio di tempo lavorata."), e così Raffaello Borghini nel suo Il Riposo, Firenze 1584 (p. 327), parlando dell'introduzione della tecnica a olio in Italia, racconta dell'opera che Giovanni da Bruges inviò a Napoli come dono per Re Alfonso; tra gli altri la vide e la ammirò Antonello che immediatamente partì per la Fiandra e vi restò finchè non apprese l'arte di dipingere a olio, "segreto" che tornato in Italia, a Venezia, insegnò e mise mirabilmente in pratica nella tavola che fu posta in San Casciano: si tratta dell'unica opera d'arte che Borghini menziona di Antonello. Nelle sue Memorie istorico-critiche di Antonello degli Antoni, pittore messinese, (Firenze, Carli, 1809), Tommaso Puccini dichiara apertamente il suo scopo (p. 19), ossia quello di analizzare se possa ad Antonello da Messina attribuirsi la paternità di aver scoperto, o almeno introdotto in Italia "il perfetto modo di dipingere all'olio"; ne risulta un esame molto dotto delle fonti letterarie a sostegno di questa o delle due opposte tesi, in cui nella prima è indicato Jan Van Eyck come l'inventore della pittura a olio, nella seconda si fa risalire la tecnica a un periodo più antico. In tal erudita biografia su Antonello, la prima che è stata scritta, e che è dunque anche un trattato di storia dell'arte e delle tecniche artistiche, a p. 12, parlando della Pala di San Cassiano si dice che fu: "tenuta in gran pregio; come infatti la tennero, e Matteo Colacio nella sua lettera ad Antonio degli Adinolfi catanese impressa col suo opuscolo de fine oratoris, e il Sabellico de situ Urbis (p. 85), riportati ambedue dall'ornatissimo sig. Jacopo Morelli Bibliotecario della Libreria di S. Marco in una sua nota nella quale con molta avvedutezza ci dimostra, che la detta tavola all'epoca del 1475 era già dipinta, e posta al luogo suo, dove ora più non si vede".La lettera ad Antonio degli Adinolfi prosegue nell'analisi dei pittori degni di nota nell'arte prospettica con la citazione del "presepe" dei fratelli Bellini, delle molte opere di Andrea Mantegna, e ancora lo scultore Pietro Lombardo e Antonio Riccio: per tutti si domanda come abbiano potuto in modo così perfetto imitare la natura. Ma né una pittura né una scultura è l'opera che più, letteralmente, lo lascia stupefatto: si tratta degli scanni lignei a intarsio del coro visti nella Basilica del Santo a Padova, opera magistrale dei fratelli Canozi (1462-69). Proprio a Cristoforo e Lorenzo, Collacio indirizza l'ultima epistola di lode alla scienza prospettica, applicata in questo caso alle tarsie lignee padovane. Particolarmente importante risulta oggi la descrizione puntuale di questo magnifico coro poichè nel 1749 andò distrutto in un incendio (se ne conservano due pannelli). Ai fratelli Lendinaresi, appellati come gli italici Fidia e Apelle, evidentemente per la grandezza della loro arte, e per la capacità di fingere la natura, si deve una innovazione tecnica, cui Colacio poneva molta attenione, la tintura del legno mediante bollitura, che riusciva a creare particolari effetti cromatici, paragonabili al colore che la pittura veneta stava in quegli stessi anni sperimentando. Certamente ai Canozi si deve il perfezionamento della tarsia lignea figurata con l'introduzione dell'elemento prospettico, in singolare anticipo rispetto all'opera di Baccio Pontelli e Francesco di Giorgio Martini per lo studiolo di Federigo da Montefeltro a Urbino, datata 1475. (Pier Luigi Bagatin, L'arte dei Canozi Lendinaresi, Trieste 1990, chapter 5).In questa rara opera pubblicata a Venezia, si raccoglie in modo assai interessante una summa di fattori ed eventi legati alla vita e agli studi di Matteo Colacio (Foroleto, provincia di Catanzaro, inizio della prima metà del XVI secolo, forse 1457 - nessuna ipotesi sulla data della morte). Colacio è infatti un perfetto esempio di umanista meridionale che secondo un certo tipo di formazione culturale si spostavano verso le università del nord Italia, per entrare nel vivo delle discussioni su temi quali per esempio quello della retorica, negli stessi luoghi dove queste avvenivano. Trascorse infatti del tempo a Padova e poi a Venezia. A Padova è la produzione dell'opera che gli diede la fama nell'ambiente umanistico, per la sua teoria particolarmente eversiva nell’essere critica nei confronti delle Institutiones di Quintiliano, e a favore invece di Cicerone. Negli Opuscula i primi trattati vertono principalmente sull'arte retorica, sull'oratoria e sulla morale; in questi l'autore smonta la teoria proposta da Quintiliano, chiamando in causa Aristotele, circa la suddivisione delle arti pratiche e teoriche, le meccaniche e le speculative proponendo una propria poetica, inserendosi in questo modo nel pieno della diatriba tutta umanistica circa le arti liberali e quelle meccaniche; cita in questo frangente l'arte militare e la medicina, come anche il ballo (saltatio) e la musica (citharizo, propriamente suonare la cetra). Nell'epistola a Girolamo Veronese, parla del suo soggiorno a Padova, e scrive una orazione sulla retorica in forma di dialogo tra le posizioni contrappunte dello stesso Girolamo e quelle del siciliano Antonino Adinolfi. Segue un epigramma in forma di epistola consolatoria indirizzata a Gaspare Trissino, figlio del ben noto letterato Gian Giorgio, per la morte prematura per colera del figlio Girolamo, il che testimonia di un probabile passaggio di Colacio a Vicenza, la città in cui proprio Gaspare si fece mecenate, tra l'altro, della cappella della Passione di Cristo nel Duomo. HC 5476; BMC V 400; GW 7156; Goff C750; Schlosser .