106 pagine. 40 tavole in bianco e nero. Brossura con sovracoperta. Ristampa anastatica dell'originale del 1940 pubblicato dalla Reale Accademia d'Italia (Pubblicazioni Accademia d'Italia). Collana: Rariora. Commento dell'editore: «Trionfo di Cesare» di ANDREA MANTEGNA L'opera, dipinta a tempera tra il 1480 e il 1492, lunga ventisette metri, si compone di nove grandi tele (altre due, che dovevano completare il ciclo, non furono mai eseguite). Il Vasari dice, erroneamente, che il dipinto fu eseguito per Ludovico III ma, dal momento che il marchese era morto nel 1476, il vero commissionario fu, probabilmente, il suo successore, il marchese Federico e i destinatari finali, dopo la morte di costui nel 1484, i marchesi Gian Francesco e Isabella. Sicuramente lo spirito classico che impregnava la corte mantovana e la tradizione legata al sommo poeta Virgilio, nato nella romana Mantua, nonché l'ammirazione e l'amore per la classicità del Mantegna, umanista oltreché pittore, spiegano la scelta del soggetto. Così scrisse Ugo Ojetti nel discorso celebrativo del quinto centenario della morte del pittore, letto nel Palazzo Ducale di Mantova il 1 ottobre 1931 e stampato a Roma in dicembre dello stesso anno: «Là finalmente rivive tutto il mondo caro all'umanista. Rivive in quella processione sacra e militare, solenne e popolare, dai costumi alle architetture, dalle armi alle insegne, dagli animali ai trofei, dalle trombe alle faci, dalle statue ai candelabri, dai sacerdoti agli efebi, dalle donne ai bambini, tutt'un mondo, meglio, tutt'un popolo, forte, belle e immortale che procede folto e sicuro in avanti, e i pargoli reggono le palme del trionfo con la forza con cui i guerrieri impugnano l'armi, e le donne alte e lisce dalle chiome fiorite incedono, le mani sul grembo, solenni come i pontefici, e sul chiaro cielo vedi profilarsi le rame del pacifico olivo ma anche le picche, le lance, le asce, le tube squillanti che segnano il passo a quel popolo ordinato come un esercito, schietto e gagliardo come un corteggio di dei. Non è soltanto il trionfo di Cesare e del suo scettro d'avorio; è il cammino della latinità». I quadri, destinati alla decorazione d'un cortile esterno (così risulta da una lettera del Vescovo Ludovico Gonzaga) e usati nel 1501 durante uno spettacolo teatrale, furono sistemati, dopo la morte del Mantenga, avvenuta nel 1506, nel cortile della casa del pittore e collocati tra i pilastri del porticato. Verso i primi del '600 ritornarono nel Palazzo Ducale di Mantova. Le tele, già logorate dalle ripetute esposizioni all'aperto, dopo lunghe trattative protrattesi dal 1627 al 1629, furono cedute dai Gonzaga a Carlo I d'Inghilterra. Sicuramente il lungo viaggio di trasferimento apportò gravissimi danni ai dipinti, danni aggravati dalla prolungata permanenza in non adatti imballaggi. Le tele furono sistemate nel Palazzo Reale di Hampton Court, Londra. Un malaugurato tentativo di restauro eseguito dal Laguerre all'inizio del '700, provocò il seppellimento delle tempere originali sotto mani d'olio e di colla. Nonostante successivi tentativi di ripristino, da parte del Fry nel 1919 e del North negli anni 1931-34, le pitture sono ancora in precario stato di conservazione. . ANDREA MANTEGNA, nato probabilmente a Isola di Carturo, frazione di Piazzola sul Brenta presso Padova, nel 1431, morì il 13 settembre 1506 a Mantova. È sepolto in una cappella della maestosa chiesa di Sant'Andrea, opera di Leon Battista Alberti, dove un busto bronzeo, probabilmente modellato dallo stesso pittore, lo ritrae nella sua consapevole maturità, la fronte aggrottata, il volto torturato e sdegnoso, la bocca tirata, ma pervaso tutto di ostinata volontà. Come spiegare questa smorfia di amara fierezza? La corte di Mantova, dove lavorò per tanti anni, era per lui rifugio e prigione, destino comune a tanti altri maestri rinascimentali. Onorato, sì, con molte lodi e continue commissioni ma anche gabbato con promesse disattese. Consapevole della propria valentia, consumato dalla fiamma divina dell'arte, rattristato dalle penurie della quotidianità, il suo ritratto ci tramanda un misto di grandezza e delusione. Nei suoi dipinti ci colpisce la maestosa solidità geometrica e l'esaltazione della classicità dalla quale amava raffigurare architetture sculture e raffinati ornamenti. Dopo il capolavoro della «Camera degli Sposi», eseguito per i marchesi Ludovico III Gonzaga e Barbara di Brandeburgo, sarà il loro successore, il marchese Federico a commissionare al Mantegna le tele del «Trionfo di Cesare». Nel 1484 a Federico subentrò il marchese Gian Francesco che aveva accanto l'incantevole marchesa Isabella. In quegli anni il Mantegna, chiamato dal Papa, operò anche a Roma, ma le sue opere in Vaticano sono andate tutte distrutte. Con quanta sincerità e consapevolezza il nostro autore volle immortalare, in una delle sue ultime pitture, l'erculeo e sanguinante S. Sebastiano, rimasto alla sua morte presso la sua bottega e ora nella Ca' d'Oro a Venezia, il motto: Nihil nisi divinum stabile est. Coetera fumus (Solo quel ch'è divino dura, il resto è fumo). La bellissima edizione di ALESSANDRO LUZIO e ROBERTO PARIBENI Il Trionfo di Cesare di Andrea Mantegna fu pubblicata dalla Reale Accademia d'Italia nel 1940, con grande lusso di formato legatura e carta pesante, e venne messa in vendita all'esorbitante prezzo di Lire 800. La gravità del momento storico, con l'incombere dei disastri della guerra, costrinsero gli editori ad una tiratura molto ridotta; inoltre, dopo i successivi sbarchi delle truppe alleate, durante la ritirata verso nord del governo e dei gerarchi, prima verso Firenze e poi verso Torino, il ministro Giovanni Gentile volle che anche parte del patrimonio della Reale Accademia d'Italia, come ad esempio le maestose uniformi degli accademici e una parte dei più lussuosi volumi e strumenti, fossero caricati su un treno che però venne bombardato nel tragitto. L'opera Il Trionfo di Cesare, già rara e preziosa inizialmente, divenne subito esaurita e introvabile. A distanza di tanti anni vogliamo renderla di nuovo disponibile, in versione più economica e meno ingombrante, al godimento non solo degli studiosi e degli specialisti ma anche del grande pubblico stimatore dell'arte e della buona editoria.