Rare and modern books
Yasciar (Yashar) Kemal
IL CARDO
GARZANTI, 1961
11.69 €
Studio Maglione Maria Luisa
(Napoli, Italy)
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Description
Se lo aspettavano in molti, laggiù tra Mar di Marmara e Bosforo: si pensava proprio che fosse l’anno buono, che gli accademici
di Svezia avessero finalmente deciso di assegnare il Premio Nobel a Yaşar Kemal, il grande guerriero gentiluomo della letteratura turca. È dal 1984 che se ne parla. Con la sua trentina e oltre di libri tradotti in decine di lingue, tra grandi romanzi, racconti, testi per il cinema e vari, e soprattutto con la sua coraggiosa presenza civile e politica in Turchia, lo meriterebbe come pochi.
Purtroppo non è stato così, la decisione degli accademici si è rivolta altrove. Peccato. Oltre che un riconoscimento giusto e meritato, sarebbe stato un segnale di quelli che si definiscono “forti” per lo schieramento politico che da qualche mese governa la Turchia in nome di un bigottismo islamico che il paese sembrava avere superato fino dai tempi del laicissimo Atatürk.
Un segnale che cultura e laicità sono una componente imprescindibile di una società civile.
Informazioni bibliografiche
Titolo: Il cardo
Titolo originale dell'opera: Ince Memed (Memed il Sottile)
Collana: Romanzi moderni Garzanti (RMG)
Autore: Yashar (Yaşar) Kemal Cokceli
Traduzione di: Giuseppe Cittone
Editore: Milano: Garzanti, 1987
Lunghezza: 378 pagine; 21 cm
Soggetti: Letteratura, Narrativa turca, Periodo moderno, 1850-1999, Romanzi, Novecento, Banditi, Anatolia, Turchia, Curdi, Armeni, Ottomani, Bizantini, Nomadi, Cristiani ortodossi, Eretici, illuminismo islamico, Letterature Turche, Turco-Tartare, Epici, Classici, Impero Ottomano, Storici, Saghe
Al suo apparire nel 1956, questo romanzo di 'Yashar Kemal sorprese tutti: l'autore aveva saputo raccogliere la sua vita tragica ed errabonda, le voci epiche e leggendarie della regione del Tauro, lo spirito di rivolta della sua terra in una narrazione libera dai modelli occidentali, fresca come una fiaba orientale e potente come può esserlo soltanto l'epopea di un popolo. Premiato in patria dalla critica e dal consenso di un vastissimo pubblico, suscitò subito l'attenzione del Pen Club e venne presto tradotto in più di venti lingue. Nel 1984 Peter Ustinov ne ha curato una versione cinematografica.
Sullo sfondo di una regione arida e incolta, dove a primavera fioriscono cardi giganteschi in grandi mari azzurri, con aculei irti e taglienti come lance, prende inizio la storia di Ince Memed, una storia di ribellione e d'amore, che costringe il protagonista a uccidere, a trasformarsi in bandito e paladino degli oppressi. Vicende che provengono da tempi lontani e rifluiscono nella leggenda, ma che ritraggono in realtà la Turchia ancora feudale del volgere del secolo scorso, nei suoi fermenti di modernità.
Racconta la storia del ragazzo Mehmet, nato in un villaggio della piana di Çukurova, rimasto orfano e condannato a vivere da miserrimo contadino su una terra dominata da un signore feudale e resa ancora più tremenda dallo strazio che nelle carni di chi la lavora sanno fare i cardi (da qui il titolo italiano). Racconta di come, per amore e spirito di rivolta, Mehmet diviene brigante, una sorta di Robin Hood del Tauro, temuto dai ricchi e dai malvagi, idolatrato dai contadini più poveri, che lo chiamano “Il falco”. Racconta delle sue azioni temerarie, delle sue fughe disperate, dei suoi inaccessibili rifugi tra i monti, del suo amore, del suo figlio bambino, del nascere della sua leggenda dopo la definitiva scomparsa.
Profondamente ingenuo, generosamente sincero ed epicamente grandioso, com'è tipico dello spirito popolare turco, il romanzo si compone di cento personaggi, vicende, cartigli, canti, segni, come uno di quei kilim che ancora si rinvengono copiosi nei mercati dell’Anatolia e che raccontano un’inesplicabile vicenda di tribù, di clan, di amori sudori dolori, di vita e morte, di eventi reali e credenze magiche, comprensibile fino in fondo soltanto ai membri del clan che lo hanno tessuto, forse unicamente alla donna che tale kilim ha preparato al telaio per il futuro sposo, per la tenda del figlio, per la dote della figlia.
C’è soltanto da augurarsi che il lettore italiano sappia abbandonarsi all'emozionante ingenuità dei segni e capirne la sottile arte intrisa di amore e pena.